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Da Trieste alla Luna in stereo3D

La moda della stereoscopia esplode nella seconda metà dell'Ottocento perché è in grado di realizzare immagini paesaggistiche tridimensionali di luoghi lontani ed esotici che conducono il fruitore in giro per il mondo, consentendogli di ampliare le proprie conoscenze geografiche, etnografiche, antropologiche e storico artistiche.

La raccolta triestina propone i luoghi simbolo dell'immaginario turistico: Trieste, le città italiane del Grand Tour, d'Europa, dell'Egitto e dell'esotico Oriente, e persino della Luna. Tutti insieme costituiscono, come dice lo scienziato, letterato e grande consumatore di immagini stereoscopiche, lo statunitense Oliver Wendell Holmes, una grande biblioteca fotografica della natura che apre al viaggio, immergendo lo spettatore in una dimensione spazio temporale completamente nuova, dall'effetto ipnotico e virtuale.

La produzione, sempre più popolare anche a livello amatoriale, non si limita a raccontare i monumenti e le vedute, si amplia alla descrizione di tableaux vivants, scene di genere o ricostruzioni storiche, con intenti didattici o edificanti, ma talvolta anche erotici, mettendo in posa modelli e comparse.

Le immagini della Fototeca sono principalmente in bianco e nero, talvolta colorate a mano, sia su carta che su vetro, provenienti non solo dagli atelier fotografici attivi in città.

Nelle case borghesi si sostituisce alle pareti il ritratto aulico a olio di grandi dimensioni con piccoli ritratti fotografici e si esibiscono gli album fotografici prodotti con materiale di lusso dal cuoio alla madreperla. Ambiente maschile e femminile al contempo il salotto presenta, attraverso la fotografia, una rivisitazione visiva della propria quotidianità, dei suoi passatempi e dei suoi svaghi, mentre sul tavolo lo stereoscopio consente la fuga dalla realtà e il disvelamento di nuovi mondi in un passatempo che, secondo la moda vittoriana, è al contempo divertente e istruttivo.

Charles Baudelaire definisce gli stereoscopi, che si diffondono tra ‘800 e ’900, abbaini dell’infinito su cui si chinano migliaia di occhi avidi.

Anche il romanziere Marcel Proust allude continuamente agli strumenti e oggetti ottici, arrivando a descrivere il “Tempo ritrovato” come una veduta ottica degli anni, in cui, sovrapponendo due immagini differenti di uno stesso oggetto riappare il passato attraverso il quale la realtà, letteralmente, prende rilievo.

Straordinariamente attuale, l'invenzione ottica non costituisce una semplice scoperta scientifica ma un processo di ampliamento e di conoscenza che, ieri come oggi, continua ad affascinarci.
 


 


 

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